Storia dell'agricoltura (40)

Intervento al convegno di studi Precari di ieri. Il bracciantato agricolo di massa tenutosi a Savarna (RA) il 5 giugno 2011 presso il museo etnografico " Sgurì" di Romano Segurini. Pubblicato in «I quaderni del Cardello», Annale di studi romagnoli Della Fondazione Casa di Oriani - Ravenna., n. 20, pp. 25-34. 

Nelle colline e nelle pianure dell'Italia centro-settentrionale dal XV secolo in avanti il sistema parcellare medioevale dell'agricoltura contadina si riorganizza attorno al contratto di mezzadria, contratto che segue l'appropriazione della terra da parte delle borghesie urbane e della nuova nobiltà in espansione. Questo rapporto resiste fino al XX secolo nelle aree collinari e di antico appoderamento, mentre nella bassa pianura i lavoratori mezzadri non riescono a sostenere la funzione di "imprenditori agricoli subalterni". I faticosi lavori di prosciugamento delle zone paludose, i terreni duri e argillosi che obbligano a disporre di varie coppie di buoi da lavoro e la necessità di destinare forza lavoro familiare alla difesa delle alluvioni dei fiumi provocano un mutamento nei rapporti contrattuali e il progressivo passaggio di molti lavoratori mezzadri alla condizione di salariati fissi. Nel corso del XIX secolo nasce anche la figura del bracciante giornaliero e il bracciantato di massa che alterna i lavori di bonifica con i lavori agricoli a giornata presso la grande azienda capitalistica.

 

Contributo pubblicato in un volume di studi di onore di Ramon Garrabou Segura, storico dell'agricoltura spagnola e catalana, che porta il titolo Sombras del progreso. Las huellas de la historia agraria, Edición de Ricardo Robledo, Barcelona, Crítica, 2010, pp. 265-285.

Verso la fine del secolo XX e secondo le statistiche della Comunità Europea gran parte delle aziende agricole dell'Europa comunitaria (a 15 membri) erano situate nei paesi mediterranei. Le aziende agricole italiane erano allora il 38 per cento di tutte le aziende della Comunità. Nel 2000 Italia, Grecia, Spagna e Portogallo avevano 4,67 milioni di aziende agricole su un totale europeo di 6,79. A partire da questo dato il saggio si pone una domanda: chi sono i contadini italiani e che relazione hanno con la terra che coltivano? A partire dal fatto che per tanto tempo l'Italia è stata un paese di «contadini senza terra», si affrontano brevemente i temi della appropriazione borghese della terra (beni comunali, terre ecclesiastiche) e della mezzadria come rapporto tra famiglia coltivatrice e proprietario urbano.

Martedì, 24 Ottobre 2017 17:55

Il mais. Un nuovo cereale per la fame europea

Tra XVI e XVII secolo fu introdotta in molte regioni d'Europa la coltivazione di un cereale proveniente dal nuovo mondo. Dalle zone atlantiche e umide della Spagna (Galizia, Paesi Baschi) e da alcune aree mediterranee irrigue il mais giunge nella valle del Po e si insedia nel Polesine. Il saggio, che in parte riprende un altro già inserito in questa sezione è un intervento al convegno di studi tenutosi a Badia Polesine (Rovigo) il 27-28 settembre 2014 i cui atti sono ora nel volume , a cura di Danilo Gasparini, Il mais nella storia agricola italiana, iniziando dal Polesine, Rovigo, Associazione Culturale Minelliana, 2015, pp. 35-46.

Sabato, 26 Agosto 2017 16:31

Colture, lavori, tecniche, rendimenti

 

Contributo  pubblicato nell'opera collettiva promossa dall'Accademia dei Georgofili Storia dell'agricoltura italiana, vol. II, Il medioevo e l'età moderna, a cura di Giuliano Pinto, Carlo Poni, Ugo Tucci, Firenze, Edizioni Polistampa 2002, pp. 223-253.

Dalla metà del XV secolo le campagne italiane vedono riorganizzarsi lo spazio agricolo e le strutture produttive dell'agricoltura. Mentre nel Mezzogiorno si fa ancor più dominante il binomio grano-pascolo anche legato a consistenti movimenti di transumanza e alla concentrazione della produzione in grandi masserie, nell'Italia centro-settentrionale si vanno costituendo unità fondiarie dimensionate ad una famiglia colonica (poderi, possessioni ecc.) e si generalizzano contratti di mezzadria o affitto contadino che prevedono la presenza diffusa dei contadini nella campagna. L'introduzione di nuove colture (riso, mais) e l'impianto di alberature in filari a cui viene maritata la vite, fanno del podere una azienda tendenzialmente autosufficiente per la famiglia coltivatrice e al contempo fornitrice di surplus al proprietario del suolo (di solito cittadino o ecclesiastico). E' un modello agronomico che sarà dominante fino alle grandi trasformazioni dei secoli XIX e XX. 

 

 Saggio presentato al colloquio tenutosi nel  novembre 1992 a Royaumont presso Parigi sul tema «Les salariés agricoles au XIXme et XXme siècles». Il saggio si sofferma sul fenomeno del bracciantato agricolo  che nell'Ottocento viene concentrandosi nella parte orientale della pianura padana. Il rapporto precario di lavoro caratterizza le aree dove si sono svolti grandi lavori di bonifica e dove sussistono grandi aziende agricole dedicate soprattutto alla cerealicoltura. Quest'ultima genera un sotto-impiego permanente per la categoria dei lavoratori salariati a giornata , i quali restano per lunghi mesi disoccupati e rivendicano occupazione nei lavori pubblici e successivamente impongono alle aziende assunzioni obbligatorie con il cosiddetto "imponibile di manod'opera" e forme di compartecipazione al prodotto sotto il controllo della grande azienda capitalistica.

(In lingua francese). Pubblicato nel volume collettivo La moisson des autres. Les salariés agricoles au XIXe et XXe siècles, éditions Créaphis 1996 (collection "Rencontres a Royaumont"), pp. 153-176.

 

Pubblicato in La campagna a vapore. La meccanizzazione agricola nella pianura padana, a cura di Angelo Varni, Rovigo, Associazione culturale Minelliana, 1990, pp. 165-181.

 

La pianura padana si presta fin dalle prime fasi pionieristiche allo sviluppo della meccanizzazione delle coltivazioni. Ma la forte presenza di mano d'opera giornaliera e avventizia in tutte le terre della bassa pianura mette le masse di lavoratori agricoli, compresi i coloni mezzadri, di fronte ad un dilemma: opporsi alle macchine o impadronirsi di esse in forma cooperativa  per accrescere la parte del reddito agricolo spettante al fattore lavoro. Ne nascono conflitti di interesse anche aspri tra braccianti, mezzadri e conduttori dei fondi. Dalla fine del XIX secolo, e soprattutto dopo la prima guerra mondiale, avanza una terza alternativa: imporre ai proprietari lavori di miglioria fondiaria con giornate lavorative supplementari, specialmente durante i mesi invernali, per combattere la disoccupazione stagionale (imponibile di mano d'opera).  Ne consegue che gli imprenditori agricoli devono anche rallentare l'introduzione di macchine labour-saving, come le falciatrici meccaniche. 

Pubblicato nel volume I contadini emiliani dal medioevo ad oggi. Indagini e problemi storiografici, a cura di Franco Cazzola, ("Annali dell'Istituto Alcide Cervi", n. 7/1985, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 171-201.

Una rassegna dei principali problemi su cui si è soffermata la storiografia sulle vicende sociali ed economiche delle campagne emiliane e romagnole dopo l'Unità: dalle origini di un forte movimento contadino, alla formazione del proletariato agricolo; dalla crescita di alcune coltivazioni industriali (canapa, barbabietola, pomodoro), alle grandi bonifiche e trasformazioni fondiarie  della bassa pianura; dal ruolo degli imprenditori e degli agrari nella modernizzazione ai conflitti sociali e alle forme di organizzazione politiche e sindacali dei lavoratori.

 

Nel 1451 Borso d'Este, marchese poi primo duca di Ferrara intraprende una vasta opera di bonifica di un territorio paludoso ad occidente della città dove andava a caccia. Nasce dalla casa di caccia là esistente il nuovo villaggio di Casaglia, dotata di chiesa nel 1460 e circondata da ben 21 possessioni lavorate da coloni e munite di case e altri edifici rurali. Attraverso i libri contabili tenuti dal castaldo e dai maestri di conto il saggio ricostruisce la produzione e i rendimenti del frumento e delle altre colture per il periodo 1451-59.

Pubblicato in Studi in memoria di Luigi Dal Pane, Bologna, Clueb, 1982, pp. 239-300

Pubblicato in Percorsi di pecore e di uomini: la pastorizia in Emilia Romagna dal medioevo all'età contemporanea, a cura di Franco Cazzola, Bologna,  Clueb, 1993, pp. 7-46.

 Le pecore sono state per secoli le principali utilizzatrici degli spazi marginali non utilizzati dall'agricoltura. Esse hanno dato vita ad importanti economie e ad istituzioni di tipo fiscale che controllavano il movimento di grandi greggi di animali e a settori come quello laniero, di importanza primaria nel medioevo e nell'età moderna. Il saggio rappresenta l'introduzione a un seminario tenutosi negli anni 1991-92 presso il dipartimento di Discipline storiche dell'Università di Bologna.

 

Pubblicato nel volume Il mondo a metà. Studi storici sul territorio e l'ambiente in onore di Giuliana Biagioli, a cura di Rossano Pazzagli, Edizioni ETS, Pisa 2013, pp. 229-249.

Lo studio cerca di mettere a fuoco, per il periodo che va dalla metà del '400 alla fine del '500,  il fenomeno della perdita della terra da parte dei contadini dell'Italia centro-settentrionale, a tutto vantaggio della borghesia cittadina e dei patriziati urbani in formazione. Gli esiti del fenomeno si traducono in concentrazione della proprietà in mani cittadine con la riorganizzazione del reticolo di particelle fondiarie e nella creazione di poderi da concedere a coloni mezzadri. Avanza inoltre la  formazione di strati di proletariato rurale tra i contadini che hanno perduto il possesso della terra. Viene in particolare messo in evidenza il caso dei fumanti del bolognese, utilizzando come fonte le serie degli estimi e delle imposte che colpivano i piccoli proprietari coltivatori del contado.

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Nota dell'autore
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