Intervento alla "Ventisettesima Settimana di Studi", 8-13 maggio 1995 , dell'Istituto Internazionale di Storia Economica "F.Datini" di Prato, L'uomo e la foresta (secc. XIII- XVIII) a cura di S. Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 1996, pp. 971-988.
Nell'agricoltura a base poderale che si sviluppa a partire dal tardo medioevo nella pianura del fiume Po un ruolo importante conservano gli spazi forestali, in larga parte sacrificati all'aratro e alla produzione cerealicola, anche sui terreni in declivio, della fascia territoriale più alta. Molte pianure costiere sono inagibili per l'insediamento di coltivatori a causa della malaria e del dominio delle acque stagnanti. Già nel XIV secolo i comuni cittadini della pianura padano-emiliana e veneta devono assumere drastiche misure per arrestare il poco che resta degli spazi forestali. Con la ripresa demografica a partire dalla metà del '400 i dissodamenti investono anche le selve paludose e i boschi golenali dei fiumi. Con l'opera di bonifica e la necessità di insediare coloni nelle zone prosciugate viene fatto obbligo ai contadini di ripiantare alberi per soddisfare le esigenze di riscaldamento e per gli usi del legname agricoli e domestici. L'impianto di alberature in filari sarà la soluzione per riequilibrare il rapporto fra terreni arativi e biomassa vegetale per il bestiame da lavoro.
[Si Veda in questa sezione la ripresa e ampliamento di questi temi nel saggio 1996_Piantata_padana_2.pdf]